by Boians Cho Joo
Senza
confonderlo con l’adozione nazionale, vediamo
quando e perché l’affido diventa sine die, ovvero “a tempo indeterminato”.
Nel nostro Paese l’affido
familiare è poco conosciuto, ancor meno lo sono alcuni suoi aspetti.
Infatti,
quando se ne parla, si deve sottolineare la sua “temporaneità” anche se, il più
delle volte, questa non trova riscontro nella realtà.
Nella
pratica, troppo spesso, non si realizzano le condizioni per cui il minore possa
rientrare nella famiglia di origine, susseguendosi continui rinnovi.
Ed ecco che un affido consensuale si trasforma in giudiziale, e uno giudiziale è
reiterato per mesi o anni.
L’affido
familiare, a quel punto, non è più temporaneo, ma indeterminato e può accompagnare il minore fino al suo 18esimo anno d’età.
In
questi casi si parla di affidi sine die.
questi casi si parla di affidi sine die.
Casi
in cui i minori non riescono a sentirsi mai “figli” di quella o di quest’altra
famiglia; e i genitori (sia affidatari sia naturali) non si sentono mai tali fino
in fondo.
L’affido
familiare costringe il minore in un
limbo da eterno “affidato”, e i genitori affidatari in un limbo da eterni genitori affidatari.
Si
tratta di quegli affidi “apparenti” che, evidentemente, stanno bene anche a chi non
vuole che l’affido familiare diventi, per i genitori single affidatari…l’anticamera dell’adozione nazionale!
I dati
delle ultime ricerche del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali rilevano come almeno il 60% degli affidi siano sine die.
Eppure,
contrariamente a questi dati, l’affido sine die continua a essere considerato
un tabù, taciuto dagli operatori del sociale (che addirittura lo chiamano affido a lungo termine) e dalle istituzioni.
Il
termine “sine die” non lo troviamo all’interno della nostra giurisdizione, tantomeno
nelle Linee guida nazionali sull’affido.