M’aMa sostiene fin dalla sua nascita la de-istituzionalizzazione dei minori fuori famiglia appellandosi ad una permanenza in struttura limitata nel tempo e strettamente finalizzata ad un progetto di affido o adozione (sempre che non sia possibile un ritorno nella famiglia di origine).
Ancor più se si tratta di minori con bisogni speciali.
M’aMa ha registrato come nei primi 6 mesi dall’ingresso in famiglia (adottiva o affidataria, comunque residenziale) l’80% dei “nostri” bambini con bisogni speciali (213 dal 2017 a oggi) mostra un miglioramento del proprio sviluppo psicomotorio del 70% in più rispetto al suo arrivo.
Prolungata permanenza in struttura:
La legge 184 del 1983 parla chiaramente di una permanenza in struttura di massimo due anni per i minori da zero-18 anni; per quelli tra i zero e i 6 anni di età la scelta di collocazione prioritaria dovrebbe essere quella (sempre se non fosse possibile la propria famiglia di origine) in famiglia adottiva o affidataria. Norma che difficilmente viene rispettata visto l’alto numero di minori in età prescolare presente in comunità sul territorio italiano.
A parte eccezionali casi in cui la struttura si rende necessaria per le condizioni psicofisiche in cui versano alcuni minori, una prolungata permanenza in struttura, ovvero oltre i previsti due anni (alcuni dei nostri arrivano anche ai 10), comporta ritardi nello sviluppo motorio e cognitivo, emotivo, affettivo, sociale e comunicativo. Una vasta letteratura scientifica dal 1900 a oggi lo attesta.
Base Sicura e Attaccamento Primario
Noi di M’aMa più facilmente ci rifacciamo agli studi di Bowlby che per primo ci ha parlato di deprivazione da istituzionalizzazione dei minori quando, con le sue ricerche, ci ha mostrato come il quoziente intellettuale dei bambini istituzionalizzati aumentava in maniera esponenziale dopo 3 mesi dal ritorno del bambino presso la mamma. Ricerche che hanno messo in evidenza come non solo le capacità affettive possono essere condizionate dall’istituzionalizzazione ma anche quelle cognitive, come l’intero sviluppo umano.
La teoria dell’attaccamento di John Bowlby ci insegna che i bambini sviluppano un legame primario con i loro caregiver che diventano una base sicura da cui poter partire per esplorare il mondo. Questo legame è fondamentale per lo sviluppo emotivo e psicologico del bambino, ancor più per bambini con gravi disabilità.
I bambini con gravi disabilità psicofisiche hanno ancora più bisogno di una figura di riferimento stabile e affidabile che possa offrire loro sicurezza e conforto per esplorare le proprie risorse e affrontare gli ostacoli esterni.
La base sicura permette al bambino di sentirsi protetto e supportato, riducendo l’ansia e favorendo l’esplorazione e l’apprendimento.
Attaccamento Primario:
L’attaccamento primario si sviluppa attraverso interazioni quotidiane costanti e affettuose con il caregiver.
In una famiglia, questo attaccamento è più facile da stabilire e mantenere; in una comunità, dove i caregiver sono operatori che ruotano su turni di lavoro e il rapporto che instaurano (per quanto approfondito) rimane professionale, può essere costruito?
In Comunità avviene lo sviluppo della base sicura?
La situazione vissuta dai bimbi in comunità nei primissimi anni di vita non è paragonabile a quella di una famiglia normale, in cui il bambino instaura un legame di attaccamento con i genitori, ed eventualmente ci si può chiedere quale sia la qualità di questo legame.
Viceversa, per i bambini della Comunità, si tratta di valutare l’esistenza di una forma di attaccamento o eventualmente i tempi di ritardo nella sua costruzione, non la sua tipologia.
Nei bambini che vivono in Comunità, infatti, troviamo una scarsa capacità di differenziazione dei partner sociali, di individualizzazione della figura del caregiver (educatore di turno), una minore ricerca di cure e consolazione nei propri confronti da parte del caregiver e una minore capacità di riferirsi a lui per orientarsi a esplorare il mondo.
Pare proprio mancargli la base sicura: non mostrano di sviluppare attaccamenti specifici. In effetti i minori istituzionalizzati (rispetto a quelli in famiglia) si mostrano più agitati, meno intraprendenti, meno sereni, solari e socievoli.
Molte ricerche evidenziano come la deprivazione da istituzionalizzazione possa comportare ritardi nello sviluppo dei processi sensoriali, quali il tatto, la vista, l’udito, nello sviluppo del linguaggio, nella psicomotricità…ecco perché, spesso, appellandoci all’inserimento immediato dei nostri bambini con bisogni speciali in Famiglia noi di M’aMa ci riferiamo più facilmente a Bowlby.
Sinteticamente qui di seguito le differenze principali tra vivere in una famiglia e in una comunità per i nostri bambini con gravi disabilità psicomotorie.
Continuità delle figure di riferimento:
In una famiglia, il bambino beneficia di una presenza stabile e continua di figure di riferimento.
In una comunità, il personale cambia o ruota in turnazione, portando a discontinuità nelle cure e nell’affetto ricevuto.
Risposta ai bisogni individuali:
Una famiglia può fornire un supporto emotivo più personalizzato e rispondere meglio ai bisogni individuali del bambino.
Le comunità, anche se ben organizzate, spesso devono seguire protocolli standardizzati che non sempre si adattano alle esigenze specifiche di ogni bambino.
Ambiente Familiare:
L’ambiente familiare offre un contesto naturale per lo sviluppo delle competenze sociali e comunicative.
In una comunità, il contesto può essere più artificiale e meno favorevole a un’esperienza di vita quotidiana normale.
Riabilitazione in Contesto Familiare
La stessa terapia riabilitativa per i minori con gravi disabilità psicofisiche è più efficace quando integrata in un contesto familiare.
Interventi Individualizzati:
In famiglia, i programmi di riabilitazione possono essere meglio adattati alle necessità specifiche del bambino.
I genitori possono essere formati per partecipare attivamente alla riabilitazione, diventando parte integrante del processo.
Motivazione e Coinvolgimento:
I bambini tendono a essere più motivati e coinvolti quando ricevono supporto dai loro familiari.
La presenza dei familiari può incentivare il bambino a impegnarsi maggiormente nelle attività riabilitative.
Monitoraggio Continuo:
I genitori possono fornire un monitoraggio continuo e tempestivo, intervenendo rapidamente se notano cambiamenti nelle condizioni del bambino.
Questo livello di attenzione costante è difficile da replicare in una comunità.
In conclusione, vivere in famiglia offre numerosi vantaggi per i bambini con gravi disabilità psicofisiche, promuovendo un attaccamento sicuro, un supporto emotivo personalizzato e una riabilitazione più efficace.