Il bambino ha bisogno di una mamma e di un papà?


In questi ultimi anni la Genitorialità ha assunto le forme più varie: si parla di genitorialità condivisa, partecipata, omosessuale, monogenitoriale, partecipata…ma che cosa si intende universalmente con questo termine?

I professionisti del campo clinico concordano tutti nell’individuarla in “una fase di sviluppo dell’adulto in cui si genera la capacità di creare, proteggere, nutrire, amare, rispettare e provare piacere per un essere altro da sé, che non è necessariamente un bambino da generare e crescere”.

Da questa definizione si può dedurre quindi che la Genitorialità non necessariamente dipende dalla filiazione biologica (ovvero dalla generatività biologica, includendo quindi altre forme di legame parentale quale quello affidatario, adottivo…);

dalla coniugalità (vedi ad esempio le famiglie monogenitoriali);

nondimeno dall’orientamento sessuale.

Eppure nel nostro ordinamento non è riconosciuto un diritto della coppia omosessuale, pur se fondata sulla costituzione di un’unione civile, alla genitorialità; nè il diritto a una persona singola ad adottare.

Forse però, il punto di vista dal quale guardare la prospettiva deve essere cambiato: ovvero non bisognerebbe più partire dal diritto della coppia omosessuale alla genitorialità (attualmente non legislativamente previsto in Italia) ma dal diritto del minore a crescere in una Famiglia e a essere riconosciuto nei suoi diritti (anche e soprattutto in quello di essere accolto in adozione o in affido da una coppia al di là del suo orientamento sessuale o da una persona singola, purché opportunamente formati e con le risorse adeguate).

Dovremmo dunque partire da una esclusiva posizione bimbocentrica (e non adultocentrica) per riconoscere i diritti di tutti quei minori
istituzionalizzati in attesa di crescere in una Famiglia (sia etero, omo o monogenitoriale).

Riassumendo, la capacità di essere e fare i genitori (provvedendo all’altro e garantendo protezione e cure) non richiama necessariamente la figura di un figlio biologico (nemmeno di un figlio, in alcuni casi), né un preciso status familiare, tantomeno un orientamento sessuale dovuto.

Su questo sono concordi psicologi e psicoterapeuti e forse la definizione della Treccani può venirci in aiuto: “la genitorialità non si configura in un semplice ‘ruolo’, bensì in una ‘funzione’ che non coincide necessariamente con la maternità e la paternità biologiche, ma si estrinseca nella ‘capacità di prendersi cura’”.

Nelle società occidentali il ruolo del padre e della madre sono (cfr. Parole per Includere – Progetto DOING RIGHT(S)) percepiti come dicotomici e di conseguenza la complementarietà maschile/femminile è presentata come una regola, seppure i ruoli genitoriali in realtà non rispecchino una attitudine naturale degli uomini e delle donne, bensì mere costruzioni sociali.

Ecco quindi che non è il genere a definire la figura paterna e quella materna, ma il ruolo: è il genitore “normativo” quello che dà le regole, è il genitore “accuditivo” quello che rappresenta la figura materna e accogliente.

Così alla domanda “i bambini hanno necessariamente bisogno di una mamma e di un papà?” la risposta è sì: i bambini, durante la loro
crescita, necessitano di far riferimento a un ruolo paterno e a un ruolo materno, anche se non è detto che questi si identifichino con il genere maschile e quello femminile.

Infatti, molto banalmente, non tutti i papà delle coppie eterosessuali sono normativi e non tutte le mamme accuditive: i ruoli genitoriali nelle coppie etero (come in quelle omosessuali) sono interscambiabili. Pensiamo anche ai nuclei monoparentali in cui una madre (o un padre) deve svolgere (e svolge) entrambe le funzioni.

Insomma per il sano sviluppo psicoaffettivo e relazionale del bambino nella sua crescita pare essere importante solo saper gestire entrambe le funzioni garantendo una presenza significativa verso la quale sviluppare un attaccamento sicuro.

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