La realtà giuridica del nostro Paese non lascia spazio a fraintendimenti: in Italia le persone singole e le coppie omosessuali non possono adottare (se non in casi particolari art.44) possono, invece, accogliere in affido (art. 2 Legge 183/84) con la piena consapevolezza che l’affido non sia da considerarsi una “scorciatoia” all’adozione: nemmeno quello sine die (a lungo termine).
Questa impossibilità da parte delle coppie omosessuali e delle persone singole, dal punto di vista giuridico, ad aprirsi a qualsiasi forma di genitorialità (procreazione eterologa e adozione), fa sì che spesso, purtroppo, l’affidamento sia visto (specie quello sine die) come una “adozione mascherata”.
Ma il desiderio legittimo di avere un Figlio nell’affido (anche sine die) non può essere ritenuto un diritto.
Essere genitori affidatari, infatti, non significa sostituirsi alla famiglia di origine, bensì essere una famiglia in più per il minore, una famiglia cui non è riconosciuta la responsabilità genitoriale e che pertanto può esercitare solo l’ordinaria amministrazione nei confronti del minore (quella straordinaria sarà esercitata da un tutore nominato dal Tribunale o dallo stesso genitore biologico art.5 Legge 184/83).
L’affido nasce proprio come strumento di prevenzione teso ad evitare il definitivo allontanamento del minore dal proprio nucleo familiare di origine: si tratta di un collocamento temporaneo del minore, fuori dalla propria famiglia di origine, nell’attesa che quest’ultima recuperi le proprie capacità genitoriali.
Come sottolineato dall’ex Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza (AGIA), Filomena Albano, nel corso della sua audizione, tutte le fonti nazionali e sovranazionali sottolineano la centralità della relazione affettiva tra i figli e i genitori. È per questo che l’allontanamento di un figlio dalla famiglia di origine deve costituire in ogni caso l’extrema ratio, praticabile solo laddove tutte le misure di sostegno al suo nucleo familiare non abbiano dato gli esiti sperati.
Può dunque affermarsi che tra i diritti costituzionalmente garantiti, da un lato, vi è quello del minore a crescere ed essere educato nella
propria famiglia, e dall’altro lo speculare diritto del genitore a poter crescere i propri figli, ecco perché, durante il collocamento extrafamiliare del minore, è previsto un adeguato sostegno alla famiglia d’origine (art.1 Legge 184/83).
All’inserimento in casa del minore, quindi, i genitori affidatari (tutti, etero e non, coppie e single) potranno accogliere quest’ultimo COME un Figlio, ma non lo è.
Questo fragile equilibrio emotivo cui sono chiamati gli affidatari, diventa ancora più impegnativo negli affidi sine die, in quelli cioè dove gli affidatari accolgono i minori fino al compimento della maggiore età.
Se, infatti, la Legge 149/01 (modifica della Legge 184/83) con l’art.4 aveva indicato come termine massimo previsto per l’affidamento 24 mesi (prorogabili dal TM nel caso in cui la sospensione dell’affidamento dovesse recare pregiudizio al minore), in realtà oggi in Italia la maggior parte degli affidi sono sine die. Affidi a tempo prolungato senza termine e possibilità di rientro nella famiglia di origine che costringono i protagonisti a soffrire di una cronica mancanza di identità di ruolo: il minore non può riconoscersi come Figlio di nessuna delle due famiglie (affidataria e di origine); i genitori (bio e affidatari) se sentono di esserlo interiormente, non lo sono poi dal punto di vista giuridico.
Secondo la relazione della Commissione parlamentare per l’infanzia e l’adolescenza del 17 gennaio 2018, 28.449 minori (tra zero e 17 anni) sono collocati fuori dalla famiglia di origine. Ebbene di questi ben oltre il 60% sono in affido da oltre due anni, anni in cui il minore vive in un limbo, non legittimamente riconosciuto nel suo ruolo di Figlio nella famiglia affidataria e costantemente aperto alla possibilità di far rientro in quella originaria.
L’affido quindi oggi, di fatto, si distingue dall’adozione non più per la “temporaneità dell’esperienza”, quanto per la pluralità di attori cui i genitori affidatari devono confrontarsi (Tribunale, Famiglia di origine, Tutore, Servizi sociali) e la cronica instabilità che famiglia biologica, minore e famiglia affidataria vivono.
L’affido sine die non è normato né istituzionalizzato: giuridicamente non esiste. Ed è proprio questo vuoto legislativo a farlo diventare
suscettibile delle più erronee interpretazioni, tra cui quella di immaginarlo come possibile alternativa all’adozione soprattutto per chi desidera un Figlio.