F. e L. sono una coppia gay, sposata civilmente. Desiderano “completare la loro famiglia” e per farlo pare che l’unica ipotesi concreta sia quella dell’utero in affitto: costosa ma, come dicono gli esperti, con “riuscita garantita”.
F. L. potrebbero permetterselo, hanno tutte le carte in regole per farlo, eppure scelgono di non essere famiglia a tutti i costi, ma famiglia solo di bambini che ne hanno necessità. Scelgono e continuano a scegliere l’affido nonostante le mille difficoltà incontrate, perché sebbene in molte regioni d’Italia i single e le coppie omosessuali senza alcuna discriminante accedono al percorso di formazione per diventare famiglia affidataria, raramente poi dagli stessi enti competenti sono “abbinati” ad un minore.
“La voglia di completare la nostra famiglia con dei bambini noi l’abbiamo sempre avuta anche se l’avevamo un po’ accantonata viste le leggi
italiane: noi siamo gli zii preferiti di tutti i figli dei nostri amici.
L’inizio di questa storia risale ormai a un’annetto fa, esattamente l’estate scorsa, sotto l’ombrellone, quando io e mio marito (siamo una coppia gay unita civilmente da due anni) abbiamo conosciuto due ragazzi che correvano dietro a due gemellini di 5 anni che chiamavano entrambi papà. Questi ragazzi non erano sposati ma stavano insieme da diversi anni ed ovviamente i bambini erano figli naturali solo di uno dei due.
Interessati a capire di più su quanto effettivamente era possibile realizzare per noi coppia gay abbiamo interpellato un avvocato che, inizialmente, ci ha parlato di adozione all’estero; eravamo sorpresi, sapevamo che non si poteva fare ma ci siamo detti…andiamo a sentire.
Una volta li, ovviamente, l’adozione non si poteva fare e subito ci hanno proposto…l’utero in affitto. In Russia, il prezzo sarebbe stato più basso, in America, per il doppio della cifra, la riuscita era garantita. Solo alla fine del colloquio, in modo residuale, con poco interesse, ci hanno ventilato la possibilità dell’affido, accogliere un minore in affidamento.
Vediamola così com’è: avendo capito che non ci mancavano le possibilità economiche, i nostri interlocutori non hanno fatto altro che cercare di attirarci sulla cosa più costosa con la quale l’avvocato avrebbero preso una bella percentuale.
Finito l’incontro ci siamo confrontati e non abbiamo esitato un solo attimo sull’unica strada che avremmo voluto percorrere insieme: quella dell’affido. Non si trattava di una questione economica ma proprio per una questione di cuore; abbiamo pensato che ci sono tanti bambini che hanno bisogno d’amore, di una famiglia, di poter avere un’infanzia spensierata e invece soffrono. Dovevamo fare qualcosa per poter dare ad uno o due di loro una vita serena e dignitosa.
E’ stato proprio cercando informazioni sull’affido che mi sono imbattuto nel progetto AFFIDIamoci dell’associazione M’aMa–Dalla Parte dei Bambini ed ho conosciuto Karin Falconi. Parlando con lei ho avuto maggiori informazioni sull’affido e, purtroppo, anche sulle difficoltà per noi, coppia gay italiana, di riuscire a realizzarne uno; ci ha consigliato innanzitutto di fare il percorso formativo sull’affido presso i Servizi sociali del nostro Comune di riferimento.
Corso che abbiamo terminato da pochi mesi. Durante gli incontri non abbiamo sentito alcuna forma di preclusione o discriminazione nei nostri confronti anche se, in maniera accennata, è capitato che gli operatori dei Servizi facessero riferimento alla difficoltà da parte dei giudici nell’affidare ad una coppia gay, o a single, un minore. Diciamo che nel colloquio di restituzione post corso, questa difficoltà ci è stata palesata apertamente.
Allora ci chiediamo: perche formarci per poi non utilizzarci?
Perfetto, noi non ci arrendiamo, manifestiamo educatamente il disappunto e facciamo presente che ci rivolgeremo anche ad altre associazioni sul territorio visto che il Comune tituba.
Ricapitolando: non ci possono discriminare e quindi ci fanno partecipare al corso ma poi se devono decidere a chi affidare un minore ci saltano a piè pari così non perdono tempo ad istruire una pratica che già sanno che sarà bocciata dal giudice.
Riflessione: io credo che bisognerebbe concentrarsi solo sul benessere del minore, combattere per abbattere le barriere dell’ignoranza per far capire alle istituzioni che l’amore non ha sesso e non ha confini, che una coppia omogenitoriale o un single possono dare lo stesso amore e la
stessa sicurezza ad un bambino, senza alcun pregiudizio. Anche perché, sulla base delle abbondanti e approfondite ricerche scientifiche in materia, non c’è nessuna prova a favore della tesi che le famiglie omogenitoriali siano peggiori di quelle etero, e non esiste nessuna relazione tra l’orientamento sessuale dei genitori e la salute e l’adattamento emotivo e comportamentale dei figli.
Noi comunque non ci scoraggiamo e rimaniamo ottimisti!”
(Due futuri BabbiMatti doc)
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