L’ incontro di sabato 4 novembre si è aperto con la testimonianza di una 16enne che ha raccontato davanti ad una platea di soli operatori, i suoi tredici anni interamente trascorsi in comunità.

“‘Solo a 12 anni compiuti il giudice mi ha chiesto come la volevo, la famiglia. Ho risposto non la voglio io, grazie, posso andare? Ma poi lui mi ci ha mandato lo stesso.

La gente gli diceva che erano delle brave persone, avevano fatto un’opera di bene a prendermi. Che fastidio.

No, non chiamo mamma la mia affidataria, anche se lo fa, perché io una mamma ce l’ho già.

Ecco, vorrei dire alle famiglie affidatarie che accolgono ragazze e ragazzi adolescenti: non é con voi che siamo arrabbiati, ma a volte con la nostra storia’.

É vestita di nero, come ogni adolescente che si rispetti. Ha lo sguardo deciso tradito da un sorriso dolcissimo.

Parla a noi tutti, facendoci il dono della sua storia, con accanto la sua mamma affidataria, che le accarezza i capelli e la guarda fiera.

Oggi, in una Roma tiepida e soleggiata, va un grande grazie a M. che ha raccontato a molti operatori seduti in cerchio come possiamo fare più e meglio per aiutare l’affido di ragazze e ragazzi adolescenti.

Che sono magari da anni in comunità, in quel limbo che li separa dalla maggiore età, ma con gli stessi diritti di cura, attenzione e amore per la loro crescita.

L’affido di adolescenti, nella sua dimensione di montagne russe, conflitti, risate e meraviglia é possibile. E oggi M. ce lo ha raccontato come meglio non si poteva.

(Nell’immagine, l’autografo di M. apposto sul libro della sua mamma affidataria Non vi ho chiesto di chiamarmi mamma)”

Barbara Boggio, Educatrice professionale della Fondazione L’Albero della Vita

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