Ti presento LAGNACONTINUA, la figlia biologica che voleva le sorelle ma poi...

LagnaContinua è la figlia biologica. Lei piange per qualsiasi cosa (no, il nome non è un caso). Lei dopo aver pianto in aramaico per ottenere due sorelline “con cui giocare”, ora piange in ostrogoto per “restituirle”…recriminando l’ingiustizia di dover condividere lo spazio fisico ed emotivo con loro.

Quando abbiamo annunciato a LagnaContinua l’arrivo delle sorelle, l’entusiasmo era alle stelle: finalmente, dopo dieci anni da figlia unica, un po’ di compagnia! Sembrava di averle promesso un viaggio a Disneyland. giochi condivisi, pigiama party, complicità senza fine…almeno nella teoria.

Poi è arrivata la pratica.

All’improvviso, Disneyland si è trasformato in un aeroporto internazionale con un biglietto di sola andata…per loro. Quando le riportiamo indietro? Ha comiciato a chiedere Lagna dopo i primi giorni, con la serietà di un amministratore delegato che valuta un investimento andato male.

Perché ogni figlio unico, per quanto desideri un fratello o una sorella, nel momento in cui la condivisione diventa una realtà concreta (e rumorosa), vive un vero e proprio trauma!

A quel punto chi può avere un ruolo cruciale nella situazione sono i suoi genitori, perché saper coinvolgere il proprio figlio nel progetto di affido, non solo può evitare drammi incommensurabili (o almeno limitarne la durata), ma può rendere il percorso più fluido per tutti i membri della famiglia.

Infatti, non basta annunciare la decisione con tono solenne: i genitori devono essere abbastanza abili da far sentire il figlio parte attiva del progetto, senza però caricarlo della responsabilità di esserne artefice o responsabile. Devono saper spiegare con parole semplici cosa significhi l’affido, ascoltare le sue aspettative e i suoi timori, creare momenti di condivisione autentica perché non si senta poi un ospite in casa propria.

Un figlio coinvolto sarà un figlio più aperto all’accoglienza, meno incline a vedere il nuovo arrivato come un invasore che ha piazzato la bandiera in salotto. E, dettaglio non trascurabile, contribuirà a rendere la vita quotidiana più armoniosa, riducendo il rischio di lotte fratricide per il telecomando.

Ad affiancare i genitori ci devono essere anche i servizi sociali che, purtroppo, in alcuni casi, sembrano dimenticare un piccolo dettaglio: il figlio già presente in casa. Non è raro che vengano prese decisioni senza neanche conoscerlo o ascoltarlo, come se fosse un accessorio d’arredo piuttosto che un essere umano con sentimenti e opinioni.

Il loro compito, però, non è solo quello di garantire la sicurezza e il benessere dei minori accolti in affido, ma anche di accompagnare tutta la famiglia accogliente nel percorso di adattamento. Perché l’affido non è solo una questione di spazio fisico -del tipo dove dorme il nuovo arrivato?- ma, anche e soprattutto, di spazio emotivo: come si ridefiniscono i ruoli, come si affrontano le inevitabili tensioni, come si costruisce un equilibrio nuovo.

Ascoltare i figli già presenti in famiglia, chiedergli e capire se sono davvero pronti ad una accoglienza, permettere che esprimano dubbi, paure e magari anche un pizzico di rabbia: tutto questo fa parte del processo. Perché se è vero che l’amore cresce condividendo, è altrettanto vero che la gelosia non va soffocata, ma accolta e trasformata. Negare la fatica dell’adattamento è il miglior modo per complicarlo ancora di più.

E questo lavoro di ascolto e accompagnamento da parte degli operatori non dovrebbe esaurirsi nella fase iniziale dell’affido, con qualche incontro conoscitivo e una stretta di mano, ma continuare nel tempo.

La sua storia, e quella delle sorelle della nostra mitica LagnaContinua (Nevrotic e Babbia), puoi leggerla in Non vi ho chiesto di chiamarmi mamma, il diario di un affido sine die.

 

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