CASA DOLCE CASA: L’ADOLESCENTE IN LOTTA CON IL DIVANO E LE REGOLE


Quando un adolescente in affido/adozione entra in una nuova famiglia, succede qualcosa di magico (o apocalittico, dipende dai punti di vista): la tranquillità domestica si trasforma in una prova di sopravvivenza. Lo sanno bene le nostre famigliematte! Non si mangia sul divano? E chi lo ha detto?; E’ ora di andare a letto? Vai, comincia tu. Ma attenzione, non è ribellione fine a se stessa, è semplicemente un modo di comunicare: emozioni, paure, bisogno di affermare la propria identità, come dire: Ehi, guardatemi! Sono qui e devo capire che posto occupo in questa Casa. Non vuole andare via da noi, non ci sta rifiutando, anzi: si sta solo lentamente aprendo, cercando di scavare un varco per raggiungerci (solo che, purtroppo, lo fa nell’unico modo che conosce, quindi sta solo a noi tendergli una mano per aiutarlo ad accorciargli la strada che lo separa dal raggiungerci). 

Le regole quotidiane

Se una cosa va riconosciuta al nostro piccolo grande uomo, questa è proprio il suo immenso coraggio a dir poco epico: varcare la soglia di casa di perfetti sconosciuti che si dichiarano follemente innamorati di lui, non è da tutti (soprattutto mentre lui sta ancora cercando di capire chi siano e perché lui stesso abbia accettato di stare con loro!).

E mentre il nostro adolescente si arrovella su questi massimi sistemi, noi affidatari (totalmente ignari), già al secondo giorno dal suo ingresso in casa, gli sventoliamo davanti, con un sorriso a 36 denti, il fighissimo regolamento casalingo, di cui siamo orgogliosissimi, e che da lì a poco affiggeremo a bellavista sul frigo (certi che sarà la panacea di tutti i mali).

Gestione del tablet, pulizia della stanza, apparecchiamento e sparecchiamento piatti, panni puliti e sporchi, orario di studio, orario letto, orario sveglia infrasettimanale, orario sveglia feriale, orario per uscita familiare preorganizzata…

Ora, non è poi tanto difficile immaginare che per un adolescente con un passato un tantinello faticoso…queste semplici quattro regole possano sembrare assurde, o quantomeno essere percepite come una minaccia alla propria autonomia. Così, un semplice invito a rispettare l’orario della cena, può suscitare una risposta emotiva sproporzionata soprattutto se aggancia (inconsapevolmente) esperienze negative del passato. E d’un tratto, quelle che per noi sono stupide e comunissime regole di convivenza quotidiana, diventano il campo di battaglia per una questione più profonda: la ricerca di fiducia e sicurezza.

Le motivazioni dietro questa resistenza belligerante

Dietro ogni porta sbattuta e categorico No…Ma che vuoi!, c’è un mondo di motivazioni che, per quanto assurdo ci possa sembrare, hanno una logica serrata. Proviamo a esplorare solo alcune delle più comuni motivazioni e facciamolo con un pizzico di ironia, che non guasta mai:

1. Paura del controllo

Ah, le regole! Per un adolescente in affido/adozione, ogni norma può suonare come un’invasione di campo. Se ha vissuto esperienze in cui gli adulti abusavano di lui, anche un innocuo Non lasciare i calzini per terra lo potrà percepire come un abuso di potere. E se mai dovesse cominciare a vivere la nostra casa come un ambito più accogliente, questo lo potrebbe rendere capace e fiero, finalmente, di fargli dire per la prima volta: No, questa volta io non lo faccio (Insomma, questo per dire, che alla fine dovremmo essere pure contenti se ci manda a quel paese!).

2. Necessità di testare i confini

La sfida non è mai fine a sé stessa. Andare contro le regole, rompere le scatole, è in realtà un modo per verificare la solidità dei confini e capire quanto noi famiglia affidataria siamo davvero affidabili. Ogni Non mangiare in camera si trasforma in un esperimento: Cosa farai se ci provo? Mi restituirai? O mi ami abbastanza da sopportarlo?. Questi test, per quanto (per noi) esasperanti, servono a misurare la nostra coerenza e pazienza. In pratica, sono provocazioni reiterate per capire se, dietro ogni divieto, c’è cura o rigida autorità. Noi adulti dovremmo sempre ricordarci che le sue provocazioni non sono attacchi personali, ma solo un suo modo per essere rassicurato: Se resto qui e ti sfido, posso fidarmi che non mi caccerai?

3. Protezione emotiva

Entrare in una nuova famiglia è un po’ come accettare un abbraccio da uno sconosciuto che indossa un cartello con su scritto Sono affidabile. Mica è detto che sul cartello ci sia scritta la verità. A quel punto è meglio tutelarsi così, se le cose dovessero andare male, il nostro adolescente potrà sempre dire: Ve l’avevo detto che non funzionava. Questo atteggiamento è una forma di autodifesa emotiva, un tentativo di ridurre il rischio di ferirsi ulteriormente. Ma noi adulti sappiamo che questa tipologia di resistenza è solo una maschera, che nemmeno lui ci crede.

4. Affermare l’identità

Io sono me stesso, non voglio soddisfare le vostre aspettative! Questo è il grido silenzioso dietro ogni scelta che ci fa inarcare le sopracciglia, come presentarsi con jeans strappati e maglietta sudaticcia alla cerimonia elegante del nostro datore di lavoro. Non è solo ribellione: è un messaggio, un modo per ricordare a noi, a sé stesso, che esiste, e che non si lascerà modellare facilmente. Per un adolescente (e questo vale per tutti gli adolescenti), affermare la propria identità è una necessità vitale, ancora di più quando il passato ha messo in discussione il suo valore. Noi adulti, quindi, non dovremmo vedere questi comportamenti come attacchi personali, ma come un invito a riconoscergli la sua unicità. Insomma, alla cerimonia del nostro datore di lavoro, dovremmo essere orgogliosi di presentarlo con indosso i jeans strappati e la maglietta sudaticcia mentre tutti gli altri sono vestiti da pinguini:)

5. Paura di perdere la propria indipendenza

Per alcuni ragazzini, l’indipendenza è stata l’unica certezza cui si sono aggrappati in un mare di solitudine. Quindi, se noi ci affrettiamo a dirgli cosa fare, loro lo traducono in: Vuoi controllare la mia vita? No, grazie. Proteggono a oltranza la piccola autonomia che sono riusciti a conquistare nel tempo. Dobbiamo accettare di negoziare spazi di libertà, mostrando che non vogliamo togliergli niente, ma camminare accanto a loro.

6. Provocazione come unico linguaggio conosciuto

Per molti di loro l’attacco è l’unico modo di comunicare. Urlare è il loro raccontarsi. Probabilmente è il linguaggio che hanno visto negli anni nella loro famiglia di origine, lo hanno imparato, introiettato. Noi dobbiamo tenerlo presente e imparare a vedere che non se la stanno prendendo con noi, ma ci stanno semplicemente parlando e noi, nel rispondergli, dobbiamo evitare accuratamente di metterci sullo stesso piano comunicativo. Abbiamo il dovere di  insegnargli un altro modo di comunicare e lo possiamo fare solo mostrandoglielo: tono basso, voce serena e calma (urlate in bagno a finestre chiuse o ancora meglio, soffocate l’urlo disumano dentro di voi!). 

In conclusione

La resistenza, vista da questa prospettiva, non è altro che un insieme di messaggi che il nostro adolescente manda quando si ritrova calato in un mondo sconosciuto di adulti sconosciuti, scelti, a loro volta, da altri adulti togati sconosciuti.

I suoi messaggi sono sconnessi, spesso violenti, insopportabili e anche odiosi, ma mai personali, mai rivolti a noi (anche perché non ci conoscono ancora, né per amarci né per odiarci). La nostra sfida, nell’occuparci di lui, non è imporre il silenzio, o l’ubbidienza, ma tradurre questi segnali in opportunità di comprensione e crescita condivisa.

Dobbiamo imparare a leggere al contrario la sua comunicazione: dietro ogni Non mi interessa c’è il nostro ragazzino che spera di essere ascoltato. Dietro ogni Voglio tornare in comunità, c’è lui che chiede di aiutarlo a farlo rimanere con te. Dietro Tu non sei nessuno c’è una richiesta di occupare un ruolo definito nella sua vita.

Mettersi sul suo stesso piano, prendersela sul personale rischia solo di rafforzare le sue difese: il vero lavoro è restare saldi e pazienti, mostrando che c’è qualcuno disposto a restare, nonostante tutto.

P.S. Ma una cosa è certa: al nostro adolescente dobbiamo fare tanto di cappello, perché per essere in continuo e quotidiano conflitto, per reiterare fastidiosamente piccoli comportamenti e azioni che ci fanno imbestialire fino a farci venire i capelli bianchi, gli va riconosciuto tanta ma davvero tanta costanza, dedizione e un grande talento drammatico:) che non è poco.

 

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4 thoughts on “CASA DOLCE CASA: L’ADOLESCENTE IN LOTTA CON IL DIVANO E LE REGOLE

  1. No , non mi riconosco in questo decalogo , al 99 per cento , che volete , il mio passato mi fa rabbrividire a questa storia delle regole imposte senza capire , solo per controllare la ” bestia” . Mi spiego : in comunità dove sono stata le educatrici ci dicevano :” noi sappiamo “( sottinteso io so io e voi nu siete un c…) , imponevano regole su regole fino a come andare sul cesso e lavarsi i denti perché quelle ” bestie” selvagge che eravamo dovevano imparare tutto , secondo loro . Daccordo eravamo grandi e avevsmo problemi particolari , ma il loro metodo era semplicemete questo : ubbidienza assoluta , loro erano depositarie della verità indiscutibile , stop. Soprattutto dovevano insegnarci cosa è giusto e cosa sbagliato , cosa è veri e cosa è falso , cosa è bene e cosa è male …. un lavaggio del cervello in piena regola . Io non usavo metodi violenti per provocare , anzi ero quasi perfetta e molto responsabile,ma soffrivo in silenzio e scoppiavo in modo incomprensibile per tutti , soprattutto disprezzavo quel comportamento così autoritario e rigido che dimostrava quanto erano in realta’ fragili e incapaci di capire la complessità reale e quanto erano rozze , anche volgari , prive di empatia , paurose e si nascondevano dietro una corazza difensiva abbastanza ridicola e patetica per me e gli altri ragazzi che le comparivano con sgurdi e commenti d’ intesa . Erano totalmente incapaci di ascoltare con la mente e il cuore aperti e non si rendevano nemmeno conto di quanto erano violente e sciocche. Poi dicevano che ci volevano bene , ma era un bene imposto , io non sentivo niente , lo desideravo ma lo rifiutavo infastidita , mi vergognavo anche delle loro attenzioni così poco disinteressate , non avevo bisogno di essere salvata da benefattori che ci trattavano come fantocci , soldatini da mettere un riga , burattini da indottrinare , tutti sull’ attenti , avanti marsh , un due , passo. Poi volevano che fossimo allegri e non andava bene nemmeno la mia tristezza e scontrosita’ .” Se mi accogli così non vengo più ” mi aveva detto una educatrice perché non le ero corsa incontro festante quando era venuta a trovarmi in ospedale e mi aveva anche rimproverato perché avevo regalato la biancheria che mi aveva portato che a me sembrava della nonna Genoveffa dell’ ‘ 800 . Del resto ,quando andavo da una mia parente che aveva una bambina piccola , giocavo con la bambina sul pavimento , ci divertivamo tanto , ma la mamma non partecipava perché c’ era sempre qualcosa più importante da fare , come lavare i poatti , pulire , ordinare ….dopo tanti anni quella bambina è diventata grande e ribelle , molto insicura e fa molta fatica in mezzo alle coetanee della sua età più disinibite . Riconosco che ci vogliono delle regole , ma bisogna capire perché, per es. ho imparato l’ importanza di un ordine e metodo rigorosi guardando l’ organizzazione degli infermieri nel reaparto di carodilogia dove era ricoverata mia madre , guai e distrarsi o confondere le cose , ne andava della vita dei pazienti . Cosi in tutti mestieri e nella vita imprevedibile , ci vuole concentrazione , curiosita di conoscere ,senso critico , inindipendenza di giudizio , quando la vita mi ferisce e abbatte …. mi ripeto la frase che mi ha detto la persona cui devo la mia autonomia , che ha saputo riconoscermi e darmi quello che avevo bisogno per crescere : restiamo saldi e non prendiamoci mai troppo sul serio , giochiamo la nostra partita fino in fondo , senza abbandonare il campo prima che sia finita ,se il gioco è duro è anche divertente , ne vale la pena , non mi sono mai pentita di quello che ho fatto col cuore

    1. Elena tu (e non me ne volere) sei proprio la dimostrazione (grazie al tuo passato) che il decalogo ha colto nel segno. Le tue risposte sono “da decalogo” e nessuno meglio di te può insegnarci come accogliere la “resistenza” dei nostri adolescenti, interpretarla, tradurla e non combatterla solo per reprimerla.

  2. Rettifica : oddio non fraintendemi , sono come tutti gli altri , l’ unica cosa, credo si sia capito , sono fuori dallo schema di genitori del sopracciglio , lo ho odiato troppo da quelli che volevano educarmi

  3. Quindi il decalogo dal punto di vista degli adolescenti è giusto , non mi riconosco solo nel principio del genitore che mette le regole davanti come una difesa al posto di un dialogo molto più incerto ,difficile e rischioso, ma l’unico che può funzionare ,adesso è più chiaro, scusate Grazie

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