Squilla il telefono: è la scuola.
Suo figlio si è fatto male giocando a pallone. Nulla di grave…ma arriva l’ambulanza.
Segue l’immancabile rassicurazione: Sta bene, ma urla per il dolore. Ah beh, allora!
Arrivati al pronto soccorso nessuno, tra medici e infermieri, mi chiede ufficialmente se sono la mamma. Perché? Perché nella nostra società, evidentemente, la questione dell’ufficialità del legame sembra essere un po’ come una parentesi: esiste, ma non se ne parla mai.
E così, tra lastre e TAC, tra un medico e l’altro, mi ritrovo a firmare documenti da mamma, da affidataria senza alcun problema…tutti sembrano dare per scontato che io sia semplicemente la Mamma. Ma che sia ufficiale o meno, i fatti non cambiano: sono lì, e devo occuparmi di tutto.
E in effetti per me lui è mio figlio.
La notte passa, e il Sine die inizia a farsi sentire: nessuna scadenza, nessuna previsione, solo interminabili ore nel corridoio del pronto soccorso.
Poi arriva il verdetto: operazione. Parte il tour nei reparti, e ogni medico è una nuova occasione per raccontare da capo chi sono, cosa faccio, perché sono lì. E tutti, gentilissimi, mi ascoltano con la faccia di chi ha capito solo che sono la mamma. Punto.
Nel frattempo mi scrive Emilia: Non ti dimenticare di aggiornare servizi e tutrice, eh, se no ti denuncio io! (Emoji di risata, ovviamente. Ma neanche troppo). Ed io eseguo. Chiamo tutti diligentemente. La tutrice (la mia non è come la maggior parte dei tutori, la mia risponde anche quando è in vacanza, presentissima sempre) è forse l’unica che mi riconosce davvero per quello che sono: una mamma temporaneamente sine die, ma vera, di carne, ossa e responsabilità.
Parlo con l’anestesista. Serve l’anamnesi. Semplice! Tranne per il dettaglio che conosco la storia clinica del mio bimbolino solo da 5 anni, da quando vive con noi: pare però che questo piccolissimo particolare interessi solo a me…Firmi qui, signora. E io firmo. Di nuovo.
La mia identità continua a mutare, mentre il mio ruolo resta fluido, indefinito, comunque sempre presente.
E così, continuo a destreggiarmi tra mamma e affidataria (sine die), cercando di ottenere il minimo di riconoscimento che mi spetta, mentre mi domando: ma davvero è così difficile riconoscere che, in fondo, un bambino ha bisogno di una mamma, indipendentemente dal fatto che sia biologica, affidataria o adottiva? Ma la risposta, come sempre, sembra essere sine die. Nessuna conclusione definitiva, nessuna fine chiara. Solo attese, firme e il peso di un ruolo che, forse, non sarà mai veramente ufficiale.
PS: Tutto questo ve l’ho raccontato anche per dire che, persa tra TAC, firme e reparti ospedalieri, non potrò essere presente alla 4ª edizione di Libro Aperto – Festival della letteratura per ragazzi, che si tiene ogni anno a Baronissi (SA).
Ma niente paura! A parlare di affido e a raccontare Non vi ho chiesto di chiamarmi mamma-cronaca di un affido sine die ci saranno Emilia Russo (sì, proprio lei, quella che minacciava di denunciarmi con affetto ❤️) e Giovanna Annunziata, la nostra super referente di M’aMa Campania.
A loro il mio grazie, perché so che le mie parole sono in ottime mani.
E a voi che sarete lì: ascoltatele, fate domande, portatevi a casa anche solo un pezzetto di quella complessità che ogni giorno, tra firme e amore, proviamo a raccontare.
Karin